Articolo a cura di:

Luciana Restuccia, Assistant Professor, Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Edile e Geotecnica, Politecnico di Torino; e-mail:  [email protected]

Devid Falliano, PhD Researcher, Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Edile e Geotecnica, Politecnico di Torino; e-mail: [email protected] 

1 Introduzione 

L’acqua ha da sempre avuto un ruolo cruciale nel calcestruzzo: la conoscenza precisa della sua quantità in un impasto è importante quanto la conoscenza della quantità di cemento o legante che viene utilizzata. In effetti, il rapporto acqua/cemento (w/c) è il fattore chiave che controlla la maggior parte delle proprietà del calcestruzzo fresco e indurito, nonché la sua durata e sostenibilità. 

L’importanza dell’acqua – che permette di attivare il legante innescando le reazioni chimiche che conferiscono al conglomerato cementizio caratteristiche di presa e sviluppo delle proprietà meccaniche – fu chiara fin dai tempi antichi. Oggigiorno, invece, per molti addetti ai lavori, l’acqua viene aggiunta nell’impasto solo per idratare il cemento Portland, mentre il suo ruolo fisico durante le fasi di miscelazione, presa ed indurimento del calcestruzzo è troppo spesso non ben compreso o ignorato. Per questo motivo, nei paragrafi a seguire, si cercherà di spiegare in maniera chiara e sintetica il ruolo dell’acqua in alcuni processi fondamentali che riguardano la buona riuscita del conglomerato cementizio. 

2 Influenza dell’acqua sulla reologia del calcestruzzo 

Per molto tempo cambiare il dosaggio dell’acqua è stato l’unico modo per modificare la reologia del calcestruzzo, ma l’avvento dei fluidificanti e – a partire dagli anni ’70 del secolo scorso dei superfluidificanti – ha modificato sensibilmente i mix design delle miscele cementizie: oggi la reologia di un calcestruzzo moderno dipende da un equilibrio preciso dell’acqua e di tali additivi. 

In generale è risaputo che – allo stato fresco – la quantità di acqua introdotta durante la miscelazione governa:

  • la reologia del calcestruzzo (con o senza l’ausilio di additivi).
  • la posizione relativa delle particelle di cemento quando iniziano a idratarsi.
  • la solubilità delle diverse specie ioniche presenti nel legante.
  • la conducibilità elettrica e termica del calcestruzzo.
  • il bleeding e la segregazione.

E che durante lo sviluppo del processo di indurimento, la quantità di acqua gioca un ruolo fondamentale per:

  • lo sviluppo della reazione di idratazione delle quattro fasi principali del cemento Portland.
  • le conseguenze fisiche, termodinamiche e volumetriche della reazione di idratazione sulle proprietà del calcestruzzo.
  • lo sviluppo del ritiro autogeno.

Entrando nello specifico, l’acqua introdotta in fase di miscelazione è determinante per lo sviluppo delle proprietà reologiche del calcestruzzo. Infatti, nella fase iniziale, l’acqua inizia a bagnare le particelle di cemento, creando forze coesive tra di loro e conferendo all’impasto quella che viene comunemente chiamata lavorabilità. Le forze coesive create dalla “bagnatura iniziale” delle particelle di cemento sono il risultato dello sviluppo dei primi idrati sulla superficie delle particelle di cemento. Le forze coesive in fase iniziale sono molto importanti perché riducono notevolmente il rischio di bleeding e segregazione (in una miscela ben proporzionata). Tuttavia, se questi primi legami coesivi crescono troppo velocemente per motivi legati a condizioni ambientali non favorevoli, essi allora provocano una perdita di lavorabilità, che molto spesso viene “risolta” in cantiere aggiungendo acqua all’impasto, con effetti catastrofici sulla resistenza a compressione e sulla durabilità del calcestruzzo (a causa del conseguente aumento del rapporto w/c). Negli ultimi anni si sta assistendo sempre più ad una maggiore attenzione verso questa modalità risolutrice dei problemi di lavorabilità, viste le conseguenze poco piacevoli che potrebbero interessare la direzione lavori e l’impresa esecutrice (e solo in casi particolari e in misura certamente modesta l’impianto di preconfezionamento). 

Teoricamente, per una completa idratazione è necessaria una quantità d’acqua pari a circa il 30% del peso di cemento (w/c = 0.278 – rapporto stechiometrico), ma nella realtà solitamente tale rapporto aumenta (e solitamente è compreso tra 0.45 e 0.55) proprio per favorire un’adeguata lavorabilità dell’impasto.  

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Fig. 1. Caratteristiche meccaniche di resistenza del calcestruzzo in relazione al rapporto acqua cemento ed al periodo di stagionatura [1].

La lavorabilità è in genere misurata attraverso lo slump test e cioè attraverso la determinazione dell’abbassamento del calcestruzzo appena sformato da un tronco di cono metallico (il famoso cono di Abrams): in altre parole, viene valutata la deformazione che un impasto subisce per effetto del proprio peso quando viene privato del cono che lo sostiene. La classe di consistenza, identificata da un codice (da S1 a S5), corrisponde ad un intervallo di lavorabilità espressa attraverso la misura dell’abbassamento (detto appunto slump).

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Fig. 2. Misura dell’abbassamento al cono (slump test) secondo la norma UNI EN 12350-2.

 

3. Idratazione della pasta cementizia 

L’idratazione rappresenta il complesso fenomeno in cui, quando il cemento e l’acqua entrano in contatto nella fase di miscelazione, si instaurano le reazioni chimiche grazie alle quali si passa da una fase plastica dell’impasto – facilmente lavorabile – alla fase indurita, che presenta lo sviluppo delle proprietà meccaniche di rigidezza e resistenza. L’idratazione quindi si articola in due diverse fasi (dette di presa e indurimento) che possono essere viste come step consequenziali, sebbene non vi sia un netto margine di “separazione” tra i due step. In maniera più specifica, alle fasi sopra individuate corrispondono essenzialmente due diverse reazioni chimiche: durante la fase di presa, si assiste alla reazione tra l’acqua e gli alluminati presenti nel cemento; durante la fase di indurimento sono invece i silicati a reagire con l’acqua.

La famiglia dei prodotti di idratazione degli alluminati viene solitamente indicata con l’acronimo C-A-H (Calcium-Aluminate-Hydrated): essi reagiscono in maniera rapida con l’acqua, facendo perdere di plasticità all’impasto e fornendo un contributo del tutto trascurabile nello sviluppo della resistenza meccanica. 

La famiglia dei prodotti di idratazione dei silicati viene invece solitamente indicata con l’acronimo C-S-H (Calcium-Silicate-Hydrated): essi sono determinati per la fase di indurimento e quindi per lo sviluppo delle proprietà meccaniche. La differenza di comportamento tra i diversi prodotti di idratazione risiede nelle differenti forme delle particelle: i C-A-H solitamente sono formati da cristalli di tipo cubico o a lamelle, mentre i C-S-H sono solitamente formati da cristalli di tipo fibroso, che durante la progressiva idratazione si allungano sempre più fino a intrecciarsi gli uni con gli altri, creando un legame solidale.

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Fig. 3. C-S-H dopo cinque ore di idratazione della pasta di cemento [1].

Le reazioni di idratazione trasformano dunque la pasta di cemento idratata più o meno rapidamente in un materiale indurito che continua a migliorare le proprie prestazioni nel tempo. La fase di idratazione ha un andamento cinetico decrescente, in quanto i prodotti di idratazione (che hanno un volume superiore rispetto a quello del cemento e quindi occupano gli spazi dove prima vi era l’acqua utilizzata per l’impasto) ostacolano il passaggio dell’acqua verso il cemento non ancora idratato. Questo fenomeno spiega perché il calcestruzzo “invecchiando” guadagna qualche MPa in termini di resistenza meccanica, a condizione che il rapporto w/c sia stato ben progettato in fase di mix-design e la stagionatura sia stata effettuata in maniera corretta (controllo di umidità e temperatura per promuovere una corretta idratazione).

L’idratazione del cemento Portland si traduce anche in un rilascio di calore – che è funzione della composizione minerale del cemento –  ed in una contrazione volumetrica, che sta diventando molto importante dal punto di vista tecnologico perché può avere conseguenze drammatiche sulla stabilità volumetrica del calcestruzzo (a causa dello sviluppo del ritiro autogeno, di cui ci accingiamo a parlare).

4. Acqua e ritiro: autogeno, plastico e igrometrico

Tutti i calcestruzzi, qualunque sia il loro rapporto w/c, sviluppano il cosiddetto ritiro in quanto esso è una conseguenza ineluttabile della reazione di idratazione del cemento. Il ritiro quindi avviene tanto nella fase di presa quanto nella fase di indurimento, proprio perché si innesca il progressivo “consumo” di acqua di impasto.

Da un punto di vista pratico, si osservano quattro tipi di ritiro.

Ritiro plastico 

Si manifesta sulla superficie del calcestruzzo fresco sottoposto a condizioni asciutte e ventose. L’acqua superficiale evapora dalla superficie del calcestruzzo fresco, provocando la comparsa di fessure più o meno ampie e profonde, a seconda della gravità del processo di essiccazione. Tale tipologia di ritiro non può avvenire nel caso di getti casserati e sformati dopo 24 ore.

L’eliminazione delle micro-fessure da ritiro plastico risulta fondamentale per assicurare un’adeguata durabilità alle strutture in calcestruzzo armato. Questo obiettivo può essere raggiunto:

  • applicando membrane anti evaporanti o acqua nebulizzata sulla superficie del getto, qualora si abbiano condizioni ambientali avverse come temperature elevate, diretta esposizione al sole, vento;
  • aggiungendo fibre polimeriche, circa 2 kg/m3, con l’effetto di aumentare la resistenza a trazione del conglomerato.

Ritiro chimico 

Si sviluppa in qualsiasi calcestruzzo, qualunque sia il suo rapporto w/c ed è dovuto alla contrazione chimica del volume assoluto della pasta cementizia.

Ritiro igrometrico

Riguarda il calcestruzzo indurito per tutta la sua vita di esercizio e comporta la contrazione del calcestruzzo per evaporazione dell’acqua (essiccazione – drying shrinkage) in ambienti secchi, o il rigonfiamento (swelling) nel caso di manufatti in calcestruzzo sott’acqua. Mentre quest’ultimo caso non comporta particolari problemi, il ritiro igrometrico da essiccazione può comportare problemi legati alla durabilità. Questo tipo di ritiro dipende non solo dalle condizioni ambientali, ma anche da altri fattori, quali il mix design delle miscele, la geometria, le armature. In generale, tale tipologia di ritiro decresce al diminuire del rapporto acqua/cemento e all’aumentare del rapporto aggregato/cemento: gli aggregati, infatti, contrastano il ritiro per via del loro maggiore modulo elastico.

Ritiro autogeno

Comporta la variazione di volume del calcestruzzo in assenza di variazioni di umidità relativa e di temperatura e, in maniera più specifica, si ha quando parte dell’acqua presente nella matrice cementizia migra dai pori di grande dimensione a quelli più piccoli, facendo diminuire l’umidità interna e provocando stati tensionali che possono danneggiare il calcestruzzo. In generale, il ritiro autogeno risulta irrilevante per i calcestruzzi usualmente impiegati per la realizzazione delle strutture, mentre assume un ruolo rilevante per i calcestruzzi a prestazioni meccaniche elevate con valori del rapporto acqua/cemento inferiori a 0.4. Per eliminare il problema della fessurazione da ritiro autogeno occorre bagnare per almeno tre giorni i manufatti in calcestruzzo caratterizzati da rapporti acqua/cemento minori di 0.4 a seguito della sformatura o, in alternativa, impiegare i cosiddetti Shrinkage Reducing Admixtures, ossia additivi anti-ritiro.

5. Conclusioni: una corretta gestione dell’acqua all’interno del mix design

Il problema maggiore legato all’uso dell’acqua nella realizzazione di un calcestruzzo è correlato al fatto che la sua azione benefica è inversamente proporzionale alla sua facilità di utilizzo. Ad esempio, per rendere più lavorabile l’impasto è molto facile aggiungere altra acqua, a discapito però dell’alterazione delle proprietà del calcestruzzo indurito in termini di resistenza, durabilità e sostenibilità. 

Il corretto proporzionamento della miscela in fase di progettazione, il controllo del rapporto acqua/cemento negli impianti di preconfezionamento (di cui si parlerà in modo approfondito in altri articoli) ed il controllo da parte della Direzione Lavori durante la fase di messa in opera del getto in cantiere, sono i tre aspetti cruciali che governano le prestazioni e la durabilità dei conglomerati cementizi. 

Nei riguardi della durabilità inoltre, come risulterà chiaro dalla lettura dei prossimi articoli, risultano fondamentali non solo gli effetti dell’acqua di impasto, ma anche quelli dell’acqua proveniente dall’ambiente esterno sulle strutture in calcestruzzo armato: l’impiego di strategie che permetteranno di “impermeabilizzare” il manufatto risulteranno efficaci per aumentare significativamente la vita utile di una struttura.

 

Bibliografia

  1. M. Collepardi, S. Collepardi, R. Troli. Il nuovo calcestruzzo (Edizioni Tintoretto, Villorba, 2014). 
  2. L. Coppola. Concretum (McGraw-Hill, Milano, 2007) 
  3. UNI 11104, Calcestruzzo – Specificazione, prestazione, produzione e conformità – Specificazioni complementari per l’applicazione della EN 206, 2016.
  4. Con. Sup. LL. PP., Linee guida per la produzione, il trasporto ed il controllo del calcestruzzo preconfezionato, 2003.
  5. M. Collepardi, Gli additivi per il calcestruzzo. Come funzionano e come si impiegano, Tintoretto Villorba, 2012.
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